“Il turismo del futuro? Parte dai residenti, dalla loro qualità della vita, dalla capacità di essere felici, dalla loro cura verso la terra che abitano. I turisti arriveranno di conseguenza“.
Ecco, voglio partire da questa frase di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, per definire il territorio del Collio.
Qui la vita rallenta mentre camminate per i suoi borghi, nella sua natura, tra le sue vigne.
Il Friuli in genere è ricco di parchi e giardini storici, Trieste possiede realtà assai aristocratiche come Miramare, Duino, Villa Revoltella, ma Gorizia era una città-giardino già ai tempi dell’Impero asburgico (ricordiamo per esempio Palazzo Attems Petzenstein).
Il Collio è cammino. Un viaggiare che diventa cammino anche interiore poichè si attraversano luoghi dove risulta più facile trovare una dimensione quasi spirituale e rientrare in contatto con la propria interiorità.
Il Collio è stato anche crocevia di culture, popoli, storie lunghe secoli.
Le sue terre mantengono la testimonianza di varie epoche e ai tempi dei Dogi della Repubblica di Venezia, della Corte d’Asburgo e dello zar di Russia i suoi vini erano già assai apprezzati da quei sovrani. Ma esse rammentano assai bene anche le battaglie dell’Isonzo durante la Prima Guerra Mondiale, avendo vissuto la sua prima linea più cruenta che ha segnato decisamente il carattere di questa gente.
Il Collio è terra di confine e fusione fra le culture italiana, austro-ungarica e slovena. Lo avverti nei sapori del territorio, nella lingua, nelle tradizioni quotidiane.
Questa “mezzaluna“ di terra ha però un protagonista assoluto che è il vino, grazie al clima mite dovuto alle correnti calde dell’Adriatico provenienti da sud e alla protezione donata dalle montagne a nord.
E’ nel 1964 che nasce il Consorzio di tutela dei vini del Collio e, subito dopo nel 1968, la relativa DOC. Oggi con una superficie vitata di 1500 ettari il Collio produce vini di eccellenza, in particolare i bianchi. Il suo segreto? E’ il suolo.
SOPRA LA PONCA LA VITE CAMPA…
La Ponca o “Flysch” è un composto di marne e arenarie stratificate, una sorta di argilla compressa che si sbriciola appena la tocchi, ma che è capace di caratterizzare i vini con uno spiccato gusto salino e minerale.
In pratica quando l’acqua penetra, gonfia l’argilla a mò di spugna. La pianta così trova sempre una riserva d’acqua disponibile che si ricostituisce grazie ad un processo continuo.
Difficile da lavorare a causa della sua estrema sfaldabilità, la ponca la si trova già dopo il primo mezzo metro di terra: infatti nei punti di emersione superficiale provoca erosioni del terreno che costringono i viticoltori a creare i tipici terrazzamenti per non intaccare pericolosamente queste colline. Si tratta comunque di un terreno ricchissimo di minerali e molto povero di azoto che limita la vigoria delle viti ma al contempo dona un’estrema qualità ed eleganza al vino.
Proprio sull’estremo tratto orientale di questa mezzaluna di terra, al confine con la Slovenia, è stato collocato dalla natura un luogo magico: Oslavia.
Durante la Grande Guerra, Oslavia è stata rasa al suolo, mutando completamente il suo aspetto: si tratta oggi di un paese di 150 anime, quasi un quartiere di Gorizia, che si sviluppa lungo la strada che sale a S.Floriano del Collio, dove in soli 3 km. si susseguono le cantine dei 7 produttori della Ribolla Gialla di Oslavia: Mateja Gravner (Gravner), Martin Fiegl (Fiegl), Marko Primosic (Primosic), Franco Sosol (Il Carpino), Dario Princic (Dario Princic), Stefano Bensa (La Castellada) e Sasa Radikon (Radikon).
Ragazzi cresciuti assieme e Franco, il più grande tra loro, la mattina portava a scuola i più piccoli. I loro genitori erano amici. I loro figli lo sono a loro volta.
La rinascita enoica della zona risale agli anni ’60 grazie proprio a personaggi come Yosko Gravner e Stanko Radikon, rispettivamente i padri di Mateja e di Sasa.
VIVERE L’ESPERIENZA “OSLAVIA”: LA MECCA DEI MACERATI, LA SCOPERTA DELL’ATTESA.
E si, perché i vini macerati di Oslavia non vivono sotto il tetto della DOC Collio. Si sta dialogando da un bel pò col Consorzio per poter lavorare verso la nascita di una precisa denominazione a tutela della Ribolla di Oslavia come vino macerato, con un preciso disciplinare, ma attualmente la maggior parte di questi vini esce con la denominazione IGT.
Degustare un vino macerato per la prima volta può risultare spiazzante, ma la raffinatezza e l’eleganza di questi vini speciali viene fuori conoscendoli pian piano e poi innamorandosene.
Ed eccoli lì, seduti davanti a noi giornalisti, i 7 Produttori della Ribolla Gialla di Oslavia, creatori della APRO – Associazione Produttori Ribolla di Oslavia, nata nel 2010: diversi tra loro per filosofie aziendali ma uniti da ambiziosi intenti. Una linea comune e sette identità precise e distinte.
Mateja Gravner unica donna del gruppo, Martin Fiegl come Presidente, e tutti orgogliosi e fieri delle loro radici con un’unica parola d’ordine : comunicare e far conoscere il territorio di Oslavia nella sua interezza.
Un’occasione è stata la conferenza stampa dell’evento Ribolliamo 2021, per parlare anche di Gorizia come Capitale della Cultura 2025. Si raccontano le proprie esperienze e proposte, ma ci si racconta conoscendosi tutti.
E’ presente l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Gorizia, coinvolta nella vendemmia dell’azienda Il Carpino della famiglia Sosol, e durante la narrazione di questo bell’esempio di inclusione e di solidarietà le emozioni prendono il sopravvento.
È presente la Fondazione Scuola Merletti di Gorizia che ha deciso di riprodurre in filigrana il simbolo dell’Associazione, un acino d’uva. Il merletto è un’attività che esige pazienza, costanza, passione e competenza, elementi che in fondo la accomunano all’attività vitivinicola.
Insomma, qui si confida molto nelle possibili sinergie locali e i sette produttori rappresentano oggi il braccio operativo di questo progetto di promozione territoriale.
Non è mistero che il carattere degli abitanti di queste zone sia schivo, a volte ostico, ma solo al primo approccio: ne è riprova l’elevato numero di richieste di visite che queste aziende ricevono e che ha fatto loro decidere di organizzarsi per offrire un pacchetto di accoglienza più completa possibile, comprendente anche la ricettività ristorativa ed alberghiera che dovrà ormai necessariamente svilupparsi su un territorio che ne è ancora abbastanza sprovvisto.
Marko Primosic, che nel 2010 è stato l’iniziale promotore dell’Associazione dopo aver maturato grande esperienza all’interno del Consorzio del Collio insieme a Stanko Radikon, ci parla della natura vera e forte di questi luoghi dove non esistono colture intensive o distretti industriali e dove i vigneti bisogna andare a cercarli.
“Apriamo la porta delle nostre case, più che delle nostre cantine! In un mondo del vino così individualista, la nostra ricetta è stata proprio il contrario: condividere le nostre esperienze e riunirci assieme così da progredire più velocemente.”
E’ vero, ognuno di loro ha molto da raccontare, per temperamento, scelte operate e gusti personali. Ma quando entri nelle loro cantine ti accorgi davvero di essere entrato un pò anche nelle loro vite, per il calore con cui ti accolgono, per le chiacchiere informali, per l’orgoglio che traspare nel presentare al mondo il proprio lavoro e i risultati raggiunti.
Inizierò con Sasa.
“LA RIBOLLA E’ DONNA E QUINDI DECIDE LEI”.
Sasa Radikon è uno che ci sa fare con le persone, un ragazzo prudente, ma illuminato e anche geniale; “ribelle” come suo padre, ma testardo e lungimirante, insomma uno che sa bene cosa cerca e come ottenerlo.
La sua accoglienza è sempre perfetta e informalmente attenta.
La casa che abita è stata costruita nel 1923, dove già il padre ed il nonno vivevano e producevano vino ma vendendolo sfuso. Il padre Stanko, creatore degli Orange Wine assieme al leggendario Yosko Gravner, decise poi, nel 1980, di vendere vino imbottigliato partendo per questa avventura con 3 ettari di terra.
Attualmente Sasa ne possiede 19 – che diventeranno 23 per le nuove acquisizioni che ha anticipato -, la maggior parte collocati in collina a circa 2 km dalla cantina. Parliamo di Ribolla Gialla, Pignolo, Tocai friulano, Merlot . Considerando che l’altitudine media di Oslavia è sui 180 mt., le sue vigne sono situate fra i 150 e i 200, ma il dislivello di 50 metri qui si fa particolarmente sentire non solo in termini di temperatura ma anche di umidità.
La Ribolla Gialla è allevata più in alto poichè necessita delle migliori esposizioni e di maggior calore, mentre nelle zone più basse, dove si va accumulando il freddo, troviamo il Tocai, maggiormente resistente.
La posizione di Radikon è comunque particolarmente favorevole perché i suoi vigneti sono sulle prime colline subito dopo la pianura, quindi a diretto contatto con il mare che si intravede in lontananza, e protetti dalle montagne che ha subito alle sue spalle
Ovviamente si parla di regime biologico senza alcun intervento se non quelli estremamente necessari, e con un occhio particolarmente attento al mantenimento della maggiore biodiversità possibile.
Il sistema di allevamento è un alberello a spalliera, a candelabro come da insegnamenti di Simonit & Sirch (n.d.r.-Simonit era un consulente del Consorzio Collio che qui ha fatto parecchia esperienza prima di andare per il mondo a diffondere il suo sistema), tranne che per il Pignolo ed il Tocai allevati a cappuccina friulana (o doppio capovolto, una sorta di guyot).). Le viti hanno un’età media di circa 45 anni, una densità di impianto con una media di 9000 piante/ettaro ed un sesto di impianto molto stretto perché il nonno di Sasa diceva sempre di non avere molto terreno da coltivare e che quindi erano i trattori a doversi adattare alla vigna e non il contrario…
Da Radikon si vendemmia in un’unica tornata e quindi si presta molta attenzione al perfetto stato di maturazione dell’uva.
In cantina colpisce una grande parete di ponca che, al culmine dell’assorbimento idrico, diventa una sorta di blob gelatinoso assai suggestivo.
Tutti i suoi vini sono vinificati sulle bucce, senza raspi e a tino aperto.
Tutti macerati, ma di due tipologie: per il primo 8-10 giorni di macerazione e un anno di legno, mentre per il secondo (Ribolla gialla, Oslavia – che è un uvaggio di Chardonnay, Pinot grigio e Sauvignon – e Jakot, che letto al contrario scopri il nome Tokaj) la macerazione è di 2-4 mesi. Il lasso di tempo muta comunque ogni anno in base alla tipologia delle uve, alla loro maturazione, all’andamento della fermentazione, agli assaggi. Seguono quindi parecchie follature durante la prima settimana che poi si diradano fino alla fine della fermentazione, quando il tino viene richiuso. E qui inizia la macerazione che si potrebbe definire, in questi casi, una vera e propria infusione.
La temperatura di fermentazione non è controllata, ma le uve sono inserite già raffrescate in modo che a fine fermentazione la temperatura non arrivi mai a superare i 26/27 gradi. D’altronde il rischio esisterebbe solo per lo Chardonnay o il Pinot Grigio dal momento che la Ribolla non possiede abbastanza zuccheri per poter arrivare a temperature di fermentazione superiori ai 28 gradi.
Sasa non usa la solforosa, ma non è assolutamente prevenuto verso il suo uso: ci sono casi in cui è necessario usarla, come afferma sia successo nel 2017 quando l’uva aveva parecchi marciumi che avrebbero comportato problemi durante la fermentazione.
Altra sua scelta ormai da diversi anni è quella di separare le masse dei diversi vigneti almeno nella parte fermentativa poiché ritiene che così il lievito sopravvissuto nel vigneto potrà meglio esprimere ciò che rappresenta il terroir di quello specifico vigneto. Le fermentazioni partono sempre spontanee e Sasa non ama fare pied-de-cuve. Così come non ama neppure la botrite perché è qualcosa che altererebbe il gusto della tipologia di vino che lui si prefigge di ottenere.
Le sue bottiglie non passano inosservate perchè sono un pò più grandi del normale. Ed il motivo è legato alla scelta che opera in merito ai suoi tappi di sughero.
La migliore qualità di sughero che lui va ricercando cresce in altitudine, è più sottile del normale e di solito non utilizzata in campo enoico proprio perché non raggiunge lo spessore sufficiente utile per il diametro di un usuale collo di bottiglia, tranne che in particolari situazioni come per esempio per le rondelle dei tappi da champagne. Pertanto i suoi tre fornitori, tra la Sardegna ed il Portogallo, gli hanno chiesto di utilizzare bottiglie con il collo più stretto per poter utilizzare questo tipo di sughero. Il diametro di questi tappi è infatti ora di 22 mm. contro gli usuali 26, su un collo di 15 mm. calibrato, cioè cilindrico fino in fondo. E li fa annusare uno per uno prima di utilizzarli…
Secondo Sasa il rapporto che intercorre tra la sua bottiglia da un litro e il diametro di questo specifico tappo di sughero equivale a quello esistente fra una bottiglia Magnum ed il relativo tappo. Ed è risaputo quanto la Magnum sia il formato perfetto per l’invecchiamento del vino.
Il legno usato da Sasa è tutto rovere di Slavonia di una ventina d’anni, tranne un paio di botticelle, fatte costruire col proprio legno d’acacia, destinate ad ospitare la riserva Ribolla 2017 e lo Jakot 2018. Oslavia, Ribolla e Jakot fanno almeno 3 anni di legno ed 1 di bottiglia prima di arrivare sul mercato, quindi parliamo di un lungo invecchiamento di base. Nel suo caveau personale troviamo le bottiglie d’archivio, a memoria di ogni annata, dove la più vecchia risale al 1981.
“Ognuno di noi ha uno stile. Io cerco di portare avanti ciò che mi ha insegnato mio padre e renderlo mio facendo un vino che rispetti la terra, avendo però una mia visione precisa che è guidata dalla responsabilità verso questo luogo e verso i suoi/miei figli”. (S.R.)
(continua)