Search on this blog

E’ tempo di Natale.
L’estate è ormai lontana, così come le immagini ed i ricordi legati al mare.
Ma lo spirito di certe situazioni resta attuale tutto l’anno perchè rispecchia sì quello di certe festività di matrice religiosa, ma anche quello di una certa etica laica, ed è quindi uno spirito che dovrebbe esistere senza un tempo specifico e accompagnare costantemente i nostri pensieri ed azioni.

Il Mediterraneo non è mai stato semplicemente un mare che separa l’Europa dal vicino Oriente e dall’Africa o, per dirla con Braudel, una semplice fenditura della crosta terrestre che si allunga da Gibilterra all’Istmo di Suez e al Mar Rosso. Il Mediterraneo è un mare su cui si affacciano terre diversissime fra loro, città e deserto, nomadismo e stanzialità, modi di vita lontanissimi fra loro. (…omissis) sul Mediterraneo si sono sviluppate civiltà moderne e civiltà tradizionali, città modernissime e metropoli incardinate in un passato immobile che sono rimaste tali e che si sono spesso contrapposte nell’odio e nell’inimicizia; ma soprattutto il Mediterraneo è un mare che ha formato civiltà, che le ha divise e le ha unite, che le ha messe in rapporto e le ha viste contrapporsi in scontri mortali”.
(G.Rebora, La civiltà della forchetta. Storia di cibi e di cucina, Laterza, Roma-Bari 2000.)

Veduta dall’Hotel Madison

‘NNUMARI è stata una fucina di idee a confronto alla sua prima edizione, evento ideato dallo chef bistellato Pino Cuttaia a Licata (RG) e dintorni, sua città di origine.  In questo raduno di professionisti, giornalisti e studiosi di vari settori, ma anche di allevatori, artigiani e pescatori, veri “cittadini del Mediterraneo”, abbiamo conosciuto precise visioni su ciò che dovrebbe rappresentare per il futuro questo bacino d’acqua così affascinante e determinante per tutti noi, dal Marocco alla Grecia, dalla Spagna all’Egitto. Incontri, conferenze, scambi personali hanno contribuito a superare ogni sorta di presunta diversità, riscoprendo invece comunanza di idee ed intenti, una familiarietà apparentemente inaspettata e che invece, attraverso le parole e le passioni, ci ha scoperto uniti nell’intento di preservare i territori, di valorizzare le varie culture, di ricercare gli strumenti più giusti per uno sviluppo sostenibile del mare.

Pino Cuttaia

Un grande cuoco, Pino Cuttaia, che ha fortemente voluto questo progetto per un ideale di narrazione delle varie tradizioni che in realtà accomunano i popoli che vivono affacciati su questo mare e che in fondo condividono, a volte senza saperlo, obiettivi e gestualità, specie in cucina.

E proprio in questo ambito che 24 chefs internazionali hanno deciso di sostenere il convivio ‘Nnumari e parliamo di nomi stellati, del calibro di Giancarlo Perbellini o Moreno Cedroni, che hanno inteso sottolineare l’importanza della conservazione della nostra identità attraverso la difesa di tutta la filiera alimentare.

Anche i luoghi sono stati assolutamente di elezione come il trecentesco CASTELLO DI FALCONARA, immerso nel verde e nella cui grande torre centrale si allevavano i falconi da caccia: posto romantico e struggente, con esclusivo accesso al mare, a Butera, una zona ricca di suggestioni situata fra Licata e Siracusa.

Un grande cuoco, Pino Cuttaia, che ha fortemente voluto questo progetto per un ideale di narrazione delle varie tradizioni che in realtà accomunano i popoli che vivono affacciati su questo mare e che in fondo condividono, a volte senza saperlo, obiettivi e gestualità, specie in cucina.

E proprio in questo ambito che 24 chefs internazionali hanno deciso di sostenere il convivio ‘Nnumari e parliamo di nomi stellati, del calibro di Giancarlo Perbellini o Moreno Cedroni, che hanno inteso sottolineare l’importanza della conservazione della nostra identità attraverso la difesa di tutta la filiera alimentare.

Anche i luoghi sono stati assolutamente di elezione come il trecentesco CASTELLO DI FALCONARA, immerso nel verde e nella cui grande torre centrale si allevavano i falconi da caccia: posto romantico e struggente, con esclusivo accesso al mare, a Butera, una zona ricca di suggestioni situata fra Licata e Siracusa.

E poi l’Hotel/ristorante MADISON, a picco sul mare, in un contesto straordinario dove il blu trasparentissimo di queste acque ed il bianco accecante della Scala dei Turchi si uniscono costituendo un panorama indimenticabile.

Per non parlare poi di VILLA ATHENA, hotel 5 stelle nel parco archeologico della Valle di Templi, con visibile di fronte, a 200 mt, il Tempio della Concordia in stile dorico (V sec. a.C.). Anch’essa immersa nel verde, si tratta di una dimora da favola di fine ‘700, colma di arredi ricercati che rammentano la nobiltà di persone e luoghi.

In questo tourbillon di eccellenze naturali ed umane, ho deciso di ascoltare le voci più lontane, le esperienze di chefs non italiani ma che con l’Italia hanno avuto ed hanno tuttora un rapporto di particolare affinità.

Vi presento VITALI SINAI, un israeliano di 39 anni che attualmente vive a Tel Aviv, ma che si è formato in Italia alla prestigiosissima scuola ALMA di Colorno, di cui fu rettore Gualtiero Marchesi dal 2002, e poi con Bruno Barbieri. Vitali ha lavorato, in seguito, al Bon di Philip Stark a Mosca e dal 2008 al 2016 con un suo ristorante in Israele, il Charly Check point. Gestisce ora l’Angry Monk a Belgrado.

– Come e quando è nata la tua passione per la cucina?

– E’ nata durante un lungo viaggio nel Sud America, precisamente nella città di Cuzco in Perù. Un giorno mio ​​cugino mi chiese di preparargli qualcosa da mangiare, qualcosa che lo sfamasse per davvero. Fu così che mi presentò una coppia locale, proprietaria di un piccolo ristorante, che mi fece entrare nella loro cucina e proprio allora, mentre cucinavo per mio cugino, scoprii di trovarmi a mio agio in quella situazione: quello era il posto giusto per me. Essere poi riuscito a cucinare con successo quella volta, ha scatenato in me la passione che ancora mi accompagna. Mia madre mi raccontava sempre che, fin da piccolo, adoravo aiutarla in cucina ed ero sempre molto curioso di sapere cosa stesse cucinando.

Brindisi con lo chef Vitali Sinai

Dove ti sei formato professionalmente e con quali maestri, se ce ne sono stati?

– La mia prima formazione professionale è stata con lo chef Oren Giron, che ha una sua propria scuola di cucina in Israele. Egli mi ha accompagnato attraverso un progetto chiamato “nati chefs” dove ho appreso da lui – “Grand diplome di Cordon Bleu” a Londra – tutte le basi della cucina e della pasticceria, facendomi anche conoscere speciali venditori e fornitori del mercato locale. Successivamente ho lavorato presso il ristorante Boya, al porto di Tel Aviv, al fianco dello chef Ofer Avgil che mi ha insegnato tantissimo, lavorando duramente. Al Boya ho scoperto l’amore per il pane e la pasticceria, che cuocevo in un forno di mattoni insieme alla pizza artigianale.
In seguito sono entrato all’ ALMA, la Scuola Internazionale di Alta Cucina Italiana con sede alla Reggia di Colorno, in provincia di Parma.
E poi, ancora, al ristorante Arquade dell’hotel Villa del Quar con lo chef Bruno Barbieri, da cui ho appreso la meticolosa attenzione ai piccoli dettagli, agli aromi della griglia e all’uso dei migliori ingredienti offerti dal territorio.

Appartieni dunque ad una specifica scuola di cucina ? 

No, non ritengo di appartenere a una precisa scuola perché ho sempre voluto mantenere la mente aperta e disponibile verso culture e metodi nuovi e diversi.

– Puoi parlarmi della cucina kosher?

– La cucina kosher parla della storia della nazione ebraica…

Il cibo rappresenta sempre gran parte della cultura di un popolo: nella fattispecie gli ebrei hanno dovuto spostarsi in tutto il mondo a causa della loro storia, ma la cucina kosher li ha accompagnati ed aiutati a mantenere e tramandarsi metodi e ingredienti propri ed identificativi.
Kosher significa “adatto”, “idoneo”. Cucinare kosher significa che quel cibo può essere consumato da un ebreo osservante, per cui, nella preparazione, è necessario seguire un preciso insieme di regole religiose affinché il cibo servito sia reso appunto kosher: il più comune, p.es., è quello di separare i latticini dai prodotti a base di carne.
Comunque oggi il cibo kosher moderno è portatore di molta innovazione dal momento che è necessario pensare sempre fuori dagli schemi per riuscire a “trasmettere” te stesso, come chef, in un piatto.

Vitali, tu cucini principalmente asiatico, ma di cosa bisogna tener conto quando si cucina con contaminazioni di stili diversi?

– E’ necessario sempre osservare con puntualità le tecniche di base. Le regole base della cucina sono molto simili in tutto il mondo … tutti usiamo fuoco, acqua, aria e terra, ma sono poi le tecniche a fare la differenza. L’importante è saper padroneggiare le proprie tecniche.

-I punti in comune fra la cucina asiatica e quella mediterranea, secondo te.
Quando parliamo di dieta mediterranea, parliamo di grano, olio d’oliva e vite.

Questa è la base. Poi col tempo molti altri ingredienti provenienti dall’Estremo Oriente e dall’Ovest hanno trovato una loro collocazione all’interno della cucina mediterranea.

Quella asiatica è molto variegata ed articolata, per cui mi è ora un po’ complicato parlarne. Però un punto importante è l’uso della pasta: entrambe le cucine la usano molto, sebbene in forme e modi diversi (artigianale, lunga, corta, ripiena, ecc.). Altre materie prime in comune sono spesso funghi e aglio, oltre all’uso dei brodi utilizzati abilmente da entrambe le cucine.

 Come sei entrato in contatto con lo chef Pino Cuttaia, creatore dell’evento internazionale ‘Nnumari ?

– Io e l’Italia siamo legati da una lunga storia… La prima volta sono stato in vacanza con un mio amico nel 2004, pochi giorni che però mi sono rimasti impressi perchè ero venuto proprio per scegliere dove andare a studiare per la mia professione. In seguito ho vissuto in Italia dal 2005 al 2006, per un anno e mezzo, durante il mio Master in cucina italiana, periodo che mi ha permesso di conoscerla meglio e di apprezzare i grandi tesori che racchiude.

Ho sentito parlare per la prima volta di Pino Cuttaia proprio dal mio maestro Luciano Tona, che mi raccontò che Pino aveva in mente di realizzare un grande progetto per il Mar Mediterraneo e stava cercando chefs provenienti da tutti i suoi territori, compreso Israele.

Sono stato, quindi, molto onorato di ricevere l’invito a partecipare ad un evento così importante e di averne potuto prendere parte in maniera attiva: il progetto prevedeva che ogni chef rappresentasse la propria cucina locale; alla fine abbiamo scoperto di utilizzare tutti gli stessi ingredienti ma ognuno con caratteristiche peculiari.