“Ogni vino deve essere figlio del proprio territorio e non il figlio di qualcun altro, deve agire con le proprie forze, deve operare confronti costruttivi, e non copiativi, con la propri storia. Senza timori reverenziali, creare la propria squadra.”
In Italia esistono alcune zone particolarmente vocate alla spumantistica, dove si producono vere eccellenze che nulla hanno da invidiare ai cugini d’Oltralpe: una di queste è il territorio dell’Oltrepò Pavese, in passato punto nevralgico di controllo dei commerci. Una terra di confine molto vasta all’incrocio di 4 regioni, a forma di triangolo con la punta sud verso gli Appennini tanto da essere definita da Gianni Brera “una provincia a forma di grappolo”.
Stiamo parlando di 13.000 ettari su un’estensione di 35 km. per 30, 4 valli, 51 comuni e 1700 aziende. Ciononostante è un territorio dall’identità precisa, che andrebbe visitato e scoperto con calma e tempo a disposizione. Tra l’altro si colloca proprio sul famoso 45° parallelo, che in tutto il mondo è sinonimo di grandi vini (anche se qui, rispetto alle altre zone, la differenza è climatica con una intensa piovosità che va diminuendo spostandosi verso est).
I genotipi originari del Pinot noir furono qui importati probabilmente dalla Francia o dal regno austro-ungarico: il moderno Pinot noir proviene infatti dalle selezioni post fillossera di quei ceppi iniziali e oggi l’Oltrepò Pavese costituisce il 3° distretto mondiale del Pinot noir in termini di ettari vitati.
Il primo dato certo relativo alla produzione di spumante nell’Oltrepò Pavese risale al 1870 quando l’ing. Domenico Mazza di Codevilla diede inizio alla produzione dello Champagne d’Oltralpe, termine allora concesso. Fu infatti ai primi del ‘900 che, su iniziativa di alcune aziende spumantiere, il Pinot noir si diffuse maggiormente nell’Oltrepò Pavese scoprendola zona molto vocata al suo allevamento, fin quando nel 1930 la cantina sociale La Versa iniziò a spumantizzare in maniera professionale. In seguito fu la Società Vinicola Italiana di Casteggio a produrre ed esportare per prima gli spumanti metodo classico negli Stati Uniti.
Le grandi case vinicole piemontesi acquistavano qui i mosti che poi vinificavano nei più rinomati territori di Asti e del Monferrato fin quando negli anni ‘60 le aziende locali decisero di passare alla produzione delle basi spumante: esistevano condizioni ottimali per farlo, sia dal punto di vista climatico sia da quello dei suoli, costituiti da marne, calcare e gesso presenti su circa 3000 ettari fino ai 600 mt. di altitudine. Possiamo distinguere due macroaree, una bassa più argillosa ed una più alta con maggiore presenza calcarea.
Durante la terza edizione dell’evento “Oltrepò Pavese, terra di Pinot noir”, appuntamento dedicato anche quest’anno alle migliori espressioni del grande vitigno presso l’Antica Tenuta Pegazzera di Casteggio (PV), 33 cantine hanno presentato le loro eccellenze in un walk around tasting rivolto a giornalisti e operatori del settore italiani e stranieri, con l’intervento di apertura della Presidente del Consorzio Gilda Fugazza e del Direttore del Consorzio Carlo Veronese. Una selezione di etichette è stata poi presentata nel corso di due masterclass tematiche, dedicate rispettivamente all’Oltrepò Pavese DOCG Metodo Classico Pinot Noir condotta dal giornalista e autore di Intravino, Jacopo Cossater nonché dal Direttore Veronese, e al Pinot Noir dell’Oltrepò Pavese DOC, guidata dal giornalista wine speaker Filippo Bartolotta.
on l’introduzione del nuovo disciplinare, ancora al vaglio dell’Unione europea, per il Metodo classico la denominazione muterà in “Oltrepò Docg Metodo classico” : le uve utilizzate saranno Pinot noir in purezza, l’affinamento sui lieviti passerà da 18 a 24 mesi, che diventeranno 36 per i Millesimati, e verrà introdotta la Riserva che dovrà affinare per almeno 48 mesi. Durante la degustazione alla cieca dei Metodo Classico Pinot noir, gli spumanti con lunghe soste sui lieviti – che col nuovo disciplinare dovrebbero appunto diventare Riserva – sono apparsi ancora deboli, di esile struttura, mentre al contrario il Cruasé è risultato molto interessante: si tratta di un metodo classico rosato DOCG unico per nome e per territorio, un marchio collettivo che dal 2009 identifica l’unico spumante DOCG Metodo Classico Rosé del territorio ottenuto dalla vinificazione di uve Pinot noir almeno per l’85% .
Con una produzione attuale di circa 60.000 bottiglie, il Cruasé nacque in un momento in cui non esisteva richiesta di spumante rosato, in netto aumento invece negli ultimi anni. Un bel prodotto su cui il Consorzio ed i produttori dovrebbero puntare di più: con un nome così intrigante – che deriva dall’unione dei termini francesi CRU (selezione) e ROSE’ (rosato) – oggi riceverebbe di sicuro un gran riscontro di pubblico ma ritengo non sia efficacemente utilizzato dal marketing nella comunicazione del prodotto. Vinificato da poche aziende, il Cruasé rappresenta il 20% della quantità della Docg: Tenuta Travaglino e Monsupello sono state tra le prime aziende a produrre Cruasé, mettendo i propri migliori vigneti di Pinot noir al centro del progetto. Il Cruasé vive una pressatura soffice ed un breve contatto sulle bucce, sosta minimo 24 mesi sui lieviti (ma spesso molto più) e, da disciplinare, è proposto nelle tipologie brut ed extrabrut: in effetti i rosati pas dosé piacciono principalmente agli addetti ai lavori mentre l’utente finale sembra preferire tipologie più “morbide”.
Ma l’obiettivo di questo rosato è di evidenziare, oltre la cremosità del sorso, anche elementi come la sapidità e la freschezza, presentandosi quindi con toni più agrumati e note gustative più amaricanti. Respingendo l’opulenza, si propone come un vino verticale, scorrevole e maggiormente contemporaneo.
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Nell’Oltrepò Pavese il Pinot noir è ovviamente vinificato anche in rosso, ma da minor tempo e su un territorio di soli 500 ettari, raggiungendo numeri significativi solo nell’ultimo decennio grazie sia alle molte aziende locali che hanno puntato su rigorose metodiche di allevamento, sia alle norme previste dall’ultimo disciplinare in atto.
Un tempo in queste terre venivano allevati ben 225 vitigni autoctoni. Grazie alla varietà dei suoli e delle esposizioni, oltre ad una grande biodiversità, la gamma ampelografica dell’Oltrepò si presenta comunque ancora ampia: oggi sono poco più di 10 i vitigni di maggior diffusione, ma permane la produzione di vini molto tipici come la Bonarda o il Sangue di Giuda. Le aziende sono storiche ma sono anche state capaci di valorizzare le proprie produzioni attraverso adeguate innovazioni; alla fine coesistono vari stili ma senza rilevanti differenze di base, mentre la vinificazione avviene ormai quasi sempre in acciaio e in cemento. Nel considerare che la storia di ogni cantina si accompagna sempre ad un valore emozionale che va oltre il riscontro gustativo dei suoi vini, penso che ogni produttore dovrebbe avere la possibilità di raccontare la sua, senza però mai dimenticarci del fatto che un territorio con tanti vini diventa poi un territorio difficile da comunicare .
Le zonazioni sono strumenti generalmente utili ai produttori poichè vanno a selezionare i territori più vocati ad ogni vitigno, ne consegue che i migliori risultati si verifichino su denominazioni ristrette. In Oltrepò invece il Pinot noir si può allevare ovunque: il Consorzio si ripropone di intervenire con la zonazione quando i numeri di produzione della Docg diventeranno maggiori. Ad oggi, la produzione totale della DOC Oltrepò Pavese ammonta a circa 26 milioni di bottiglie, mentre quella degli spumanti DOCG risulta essere di 560.000: il Pinot noir viene allevato su 2800 ettari, di cui solo 800 rivendicabili in Docg, ma la realtà è che molte aziende preferiscono non utilizzare la più alta denominazione, falsando così gli effettivi numeri finali della sua produzione.
Detto ciò, per la zona dell’Oltrepò Pavese l’annata 2023 si preannuncia niente male: al contrario del Centro-Sud maggiormente flagellato da piogge, grandine e poi caldo e peronospora, questo territorio ha probabilmente reagito in maniera diversa essendo più abituato a precipitazioni piovose intense e riuscendo così ad optare per scelte agronomiche più adeguate. In generale decisamente penalizzato l ‘export a causa dei minori volumi, ma migliore qualità: sembra essere questo il trend dell’annata in corso, con un Pinot noir dagli alti livelli di acidità che fanno presagire calici di grandissima freschezza.