Lambrusco e Parmigiano: quale miglior connubio per esprimere contemporaneamente tradizione, gusto e convivialità? Questi due prodotti evocano subito sapore e colore di alimenti che richiamano una cucina popolare dall’anima contadina, abitudini lontane di famiglie rurali legate a terre dai paesaggi nebbiosi, fra canali e pianure.
Il Lambrusco ha compiuto il suo primo mezzo secolo. L’inizio della sua storia è testimoniato da poeti e scrittori già nell’età classica – Virgilio, Catone, Varrone – che narrano di una “Lambrusca vitis”, un vitigno selvatico cresciuto ai margini delle campagne. Ma le testimonianze sui progenitori del Lambrusco odierno vanno ricercate al tempo rinascimentale: Andrea Bacci, medico del Papa Sisto V, nel 1597 esalta i vigneti coltivati sulle colline da Modena a Parma e sulla sponda della via Emilia presso Modena, città “famosa per certi vini bianchi e rossi, di gusto gradevolmente frizzante, dal profumo soave, che spumeggiano in dorate bollicine quando si versano nel bicchiere”. L’evoluzione tecnologica nella produzione di vini frizzanti e spumanti decolla decisamente quando nel 1814 il Conte Vincenzo Dandolo pubblica a Modena le indicazioni per produrre ed imbottigliare correttamente vini spumosi; poi, agli inizi del ‘900 si assiste alla nascita di numerose Cooperative Sociali con lo scopo di tutelare i produttori, salvaguardare il reddito agricolo e creare canali di vendita mirati. ln seguito, dall’esigenza delle aziende vinicole di unirsi in un Consorzio, nel 1961 si costituisce il “Consorzio dei vini Lambrusco” – conosciuto successivamente come Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi – e nel 1972, per il solo territorio di Reggio Emilia, il “Consorzio per la Tutela e la Promozione dei Vini DOP Reggiano e Colli di Scandiano e di Canossa”; da ultimo nel 2000 il Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Reggiani.
E il Parmigiano Reggiano?
First of all, stiamo parlando del re dei formaggi artigianali e per tale ragione ogni sua forma è davvero unica. Giusto per avere un’idea di cosa stiamo parlando: per produrre una forma di Parmigiano di circa 40 kg. occorrono 550 litri di latte; è costituito da sempre da soli 3 ingredienti; è un prodotto privo di lattosio, conservanti, additivi, zuccheri e glutine; il latte vaccino crudo DOP proviene, secondo disciplinare di produzione, quasi esclusivamente dalle province di Parma, Reggio Emilia e Modena (oltre a piccole zone delle province di Bologna e Mantova). Come se non bastasse, 50 gr. di Parmigiano rappresentano il 72% del fabbisogno giornaliero di calcio di un adulto.
Ma andiamo per ordine. Nel Medioevo i monaci cistercensi e benedettini, alla ricerca di un formaggio in grado di durare nel tempo, ne diventano i primi produttori: grazie al sale proveniente dalle saline di Salsomaggiore e al latte delle vacche allevate nelle grangie (le aziende agricole dei monasteri), ottengono un formaggio dalla pasta asciutta e dalle grandi forme, adatto alle lunghe conservazioni.
Le prime testimonianze della sua commercializzazione risalgono al 1200: un atto notarile redatto a Genova, precisamente nel 1254, testimonia che fin da allora il caseus parmensis (il formaggio di Parma) era già noto in una città così lontana dalla sua zona di produzione. Nel XIV secolo i commerci si espandono in Romagna, Piemonte e Toscana, raggiungendo anche i centri marittimi del mar Mediterraneo. Nell’Emilia del secolo successivo, con feudatari e abbazie che concorrono all’ aumento produttivo della pianura parmigiana e reggiana, si ha un ulteriore sviluppo economico: aumentano le vaccherie, a cui è annesso il caseificio per la trasformazione del latte del proprietario, a cui si aggiungeva il latte delle stalle dei mezzadri che a turno aiutavano il casaro. Il caseificio è dunque detto turnario e diventa un punto di riferimento produttivo, economico e in seguito anche sociale. In quegli anni la produzione si afferma anche nella provincia di Modena e i cuochi dell’epoca citano il “Parmigiano” in diverse ricette di pasta e dolci.
Oggi quando assaggiamo un pezzo di Parmigiano Reggiano scopriamo una grande complessità di aromi e sapori, dovuti a fattori diversi: l’alimentazione delle bovine, la tecnologia di lavorazione del latte, le differenti aree di produzione, la varietà di razze bovine ma anche, e soprattutto, i lunghi e diversi tempi di stagionatura del prodotto. Ne consegue una diversità di profili sensoriali tra i vari formaggi provenienti dagli oltre 320 caseifici, sempre nel rispetto del disciplinare della DOP. E per questa ragione il Consorzio, in collaborazione con APR (Associazione Assaggiatori Parmigiano Reggiano) ha creato Parmelier, un progetto itinerante di partecipazione in varie città italiane sia a serate di degustazioni guidate in abbinamento con altri prodotti, sia a veri e propri corsi di assaggio che hanno fatto e faranno apprezzare a pieno le varie sfaccettature del Parmigiano nelle sue declinazioni di stagionatura e biodiversità.
In quest’ottica si è rivelata assai interessante la masterclass organizzata all’interno dell’evento Modena Champagne 2022 battezzata dagli organizzatori “4 lambruschi per 4 parmigiani”.
Le caratteristiche sensoriali del Parmigiano Reggiano sono in continua evoluzione durante il suo “affinamento” e lo si è potuto ben osservare attraverso la degustazione di quattro diverse stagionature, dove la tirosina (n.d.R.: che visivamente sembra un sale cristallizzato e in bocca scrocchia leggermente sotto i denti) è il principale indicatore del grado di anzianità della stagionatura stessa.
Un delicato Parmigiano di 18 mesi è stato abbinato ad un Metodo Classico 36 mesi sur lie di Lambrusco di Sorbara, dal leggero aroma di rosa.
Un 26 mesi dai profumi di fieno secco, frutta secca e brodo di carne e dal gusto pastoso si è invece incontrato con un Lambrusco Montericco, una varietà che cresceva abbondantemente in maniera spontanea sui colli dell’Appennino (chiamata dai latini “Lambrusca vitis“) e che oggi è invece poco diffusa e utilizzata solo per la produzione del Lambrusco Reggiano. Ottimo l’abbinamento con questo rosato intenso, da monofermentazione naturale, che sa di peonia, rosa e lampone.
Il rinomato Vacche Rosse 48 mesi, dagli alti titoli di caseina e dalla decisa presenza di tirosina, si è espresso con sentori di fungo essiccato, sottobosco e crosta tostata, ma anche di spezie. La sua decisa persistenza ha però sovrastato il Lambrusco di Salamino di Santa Croce (del nord della provincia di Modena) a lui destinato nel pairing, un vino dai sentori dolci e succosi di mora e mirtillo e dal sorso morbido.
Infine il Parmigiano stagionato 62 mesi, anch’esso molto ricco di tirosina, salato, con note di frutta secca, spezie, crosta e una nota leggermente amara, è stato accostato ad un Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, un lambrusco di montagna proveniente da vitigni di 40 anni con bassissima resa: mora e mirtillo rosso in un corpo armonico.
Nel tempo, pur rimanendo fedeli alla loro tradizione, Parmigiano e Lambrusco si sono inseriti nelle cucine più diverse e raffinate.
Un esempio di ciò è stata la bella serie di sei cene organizzate dal Gambero Rosso “Giro del mondo con il Lambrusco” in cui appunto il Lambrusco, nelle sue varie tipologie, ha sposato diverse cucine etniche come la statunitense, l’argentina e la giapponese a Milano, ma anche la colombiana di Roy Cacères e la cinese di DAO a Roma, in un viaggio di sensi dal Sorbara al Grasparossa di Castelvetro e al Reggiano. Le ultime cantine partecipanti? Cavicchioli, Carpi e Sorbara, Pezzuoli, Le Casette e Lombardini, la quale, con una filosofia quasi da maison, ha lavorato sulla selezione di 3 mosti (Grasparossa, Sorbara e Salamino di Santacroce) al fine di riuscire ad ottenere il miglior Lambrusco Reggiano possibile.