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E’ la storia di un sogno personale, quella di Patrizia e Romano, giunti in Maremma 20 anni fa. Dalla scoperta di un luogo sicuramente suggestivo, un anfiteatro naturale nell’alta Maremma Toscana ai piedi del monte Amiata dalla terra vulcanica e dalla ventilazione continua, è nata la Tenuta L’Impostino, così battezzata per la presenza in epoca medievale di una piccola stazione di posta dove erano soliti fermarsi viandanti e commercianti.

Questa coppia di imprenditori bresciani è riuscita a creare dal nulla un’azienda vinicola di primo ordine in un territorio ancora poco conosciuto, ma assai vocato alla viticoltura, come quello della DOCG Montecucco. 

Situata nel Grossetano, tra le due denominazioni di sicuro più note e rinomate del Brunello di Montalcino a nord e del Morellino di Scansano a sud, la DOCG Montecucco comprende i comuni di Cinigiano, Campagnatico, Castel del Piano, Roccalbegna, Arcidosso, Seggiano e  Civitella Paganico, per un’estensione di circa 500 ettari vitati, di cui il 70% a produzione biologica certificata. 

Parliamo di una denominazione istituita nel 2011, con un disciplinare particolarmente severo, per scelta dei suoi stessi produttori, a garanzia dell’estrema qualità del prodotto finale : basti pensare che la sua resa massima per ettaro è di 70 quintali e la presenza minima del vitigno Sangiovese del 90% per entrambe le tipologie, Sangiovese DOCG e Sangiovese DOCG Riserva. Per la prima è previsto un affinamento di 12 mesi in legno e 4 in bottiglia,  mentre per la seconda di 24 mesi in legno e 6 in bottiglia.

Qui il Sangiovese risulta un pò diverso da quello della vicina e più blasonata denominazione, quella del Brunello: figlio di un vulcano spento, il Monte Amiata, da queste parti si presenta sicuramente più rude, ma comunque con un preciso carattere capace di rivelarsi al meglio attraverso un lungo affinamento.

La realtà locale non è però facile.

Molte aziende del territorio combattono contro l’invenduto: gli ettari vitati sono sì aumentati ma la maggior parte di queste uve non sono poi destinate alla denominazione quanto invece al conferimento presso altre cantine fuori del territorio. Questo vale per lo più per le piccole aziende che non possono permettersi di vendere in un circuito commerciale non adatto a loro, con prezzi inferiori rispetto alla qualità, ma anche per realtà più affermate che dopo aver raggiunto il quantitativo di sicura vendita, conferiscono  altrove il resto della produzione. Ovviamente la singola capacità imprenditoriale, in assenza di un incisivo intervento di promozione da parte delle istituzioni sul territorio, si rivela poi decisiva.

La zona è davvero molto interessante sia dal punto di vista climatico – influenzata dai venti marini e protetta dall’Amiata, con belle escursioni termiche e grande ventilazione – sia dal punto di vista geologico con suoli prevalentemente di galestro (scisto argilloso)  e alberese (roccia arenario-calcarea), quindi suoli ricchi di scheletro. L’altitudine dei vigneti si attesta tra i 150 ed i 500 metri.

La vera bellezza dell’area risiede però nella sua natura ancora selvaggia e nella sua bassa densità di popolazione. Ed è proprio questo che forse ha conquistato il cuore di Patrizia Chiari Romano Marniga, e che colpisce il visitatore in genere.

A me ha affascinato in particolare l’estensione dei boschi circostanti la loro tenuta. 

Non a caso l’azienda (a regime biologico) da qualche anno si è fatta portavoce sul  territorio del progetto BIOPASS (Biodiversità, Paesaggio, Ambiente, Suolo, Società)  realizzato dal gruppo Agronomi SATA in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Milano e la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. Obiettivo del progetto è l’analisi approfondita della biodiversità dei luoghi nonché della vitalità del suolo e delle sue sostanze organiche, operando parcella per parcella per meglio salvaguardare ed incrementare la ricchezza varietale. Proprio attraverso questa metodica è stato individuato nella proprietà la particolarità del suolo del vigneto Pietroso,  posizionato a circa 300 mt. di altitudine e caratterizzato appunto dalla presenza di sassi. Tale appezzamento è stato interamente dedicato al Merlot, un Merlot che, essendosi rivelato nell’annata 2016 di ottima qualità, è andato a costituire le bottiglie della nuova etichetta prodotta dall’azienda in edizione limitata (5.000 bottiglie): parliamo del Lupo Nero, degustato in occasione del 20° compleanno della Tenuta L’Impostino. Si tratta di un Merlot con un 10% di Petit Verdot, che va ad affiancarsi al Lupo Bianco, un rosso IGP che, a dispetto del nome un po’ ingannevole, è un uvaggio di Sangiovese ( 60%) e  Merlot  (40%). E ciò per assecondare l’espressività e le potenzialità di un preciso vigneto, il Pietroso, nonostante il Sangiovese resti comunque il vitigno principe della zona.

Presentato dunque in anteprima il 13 settembre scorso, il Lupo Nero nella versione magnum si sposa con la tecnologia NFT (non fungible token):  opere d’arte digitali, in questo caso dell’artista parigina Lisa Paclet, si accompagnano ed acquistano insieme alla bottiglia. Sono opere selezionate nell’ambito della “collezione Catch the 22” dell’Italian Wine Crypto Bank, con l’intento di fornire un valore aggiunto alla produzione aziendale e al contempo un guadagno parallelo per i luxury brands. Si entra così nel mercato del collezionismo e dell’arte digitale applicati al mondo del Food & Wine. Della serie: quando il vino diventa un’esperienza dei sensi a tutto tondo.

Ma i 20 ettari vitati dell’azienda (sui 52 totali) producono anche altre tipologie di vini, tra cui un Vermentino, il Ballo Angelico, assai piacevole sebbene alquanto diverso da quello della costiera Maremmana, ed un bel rosato da Sangiovese e Syrah, il Sassorosa, freschissimo e beverino.

enologo Giacomo Tonini
enologo Giacomo Tonini

Fra i rossi merita di essere menzionato in primis il Viandante,  un Sangiovese Montecucco DOCG Riserva proveniente dal vigneto Alto Poggio, di cui ho potuto degustare un’ampia verticale, in pratica tutte le annate produttive e precisamente dal 2007 al 2016 (ad eccezione della 2014),  assai interessante per l’inversione di tendenza operata dalla proprietà nel 2011 (anno in cui la denominazione diventava Docg) a seguito del cambio al vertice enologico (Stefano Chioccioli lasciava e subentravano Fabio Bigolin e Giacomo Tonini).

Nonostante l’annata 2013 sia stata particolarmente premiata, ritengo superiore  l’annata 2011: parliamo di un naso dolce e ricco di ciliegia scura e sottobosco, violetta essiccata e ginepro, con sentori di tabacco ed un soffio di cacao, e di un sorso che si presenta fresco, ben bilanciato e con una migliore integrazione dei tannini rispetto alle altre annate.

Con un tannino ancora in evoluzione, ma un’olfattiva già profonda, ricca di frutto scuro e polveroso con note boschive, di cioccolato e di pepe, l’annata 2016 promette invece tanta eleganza e complessità finali.

Il vino davvero rappresentativo dell’identità aziendale è Impostino, dal nome della Tenuta stessa. ll vino della tradizione di questi luoghi, un Montecucco Rosso Doc Riserva, frutto di un uvaggio di Sangiovese al 80% e di Merlot, Syrah e Petit Verdot, proveniente dal vigneto Querciolaia situato fronte cantina. Maturato 18 mesi in legno da 50 hl, viene poi assemblato in vasche di cemento sur lie e affinato 6 mesi in bottiglia.

La piacevolezza dei luoghi e della Tenuta si completa con le strutture dedicate all’accoglienza e alla ristorazione – un casale, una piscina ed una ex stalla ristrutturati con gusto, sicuramente dalla proprietaria dati i suoi trascorsi nel settore dei complementi di arredo per la casa e la tavola. L’ampia vista che spazia sui vigneti e sui boschi circostanti fanno di questo raffinato agriturismo la meta giusta per gli amanti della natura più silenziosa e rilassante, in un contesto adeguatamente ricercato.

TENUTA L’IMPOSTINO
Soc. Agri. Casal di Pari srl
58045 Loc. Impostino – Civitella Paganico (GR)