“Ogni elemento di nutrimento non domanda la sua distruzione, ma atteggiamenti di responsabilità”.
Parole puntuali quelle di Mons. Bruno Fasani, Prefetto della Biblioteca Capitolare di Verona, che ben si adattano al momento attuale. Ma andiamo con ordine.
Sapete cosa sono i GIAHS?
Trattasi di “sistemi dinamici di comunità umane in stretta relazione col territorio, il paesaggio culturale/agricolo e l’ambiente biologico/sociale”. In parole spicciole parliamo di un insieme di esperienze, conoscenze ed attività integrate fra loro e tramandate di generazione in generazione.
Nel 2002 la FAO li definì Sistemi di Patrimonio Agricolo di Rilevanza Mondiale (acronimo in inglese GIAHS) lanciando così un’iniziativa di Partenariato Globale. Oggi costituiscono un programma ufficiale dell’Organizzazione intergovernativa con l’obiettivo di attuare concrete azioni di sviluppo rurale.
Ecco, i vigneti del Soave sono un sistema agroeconomico del genere, un sistema che ha saputo mantenere le tradizionali modalità di coltivazione della vite riuscendo a fornire reddito a circa 3000 famiglie. Un modello di sviluppo che è stato capace di adattarsi nel tempo, riuscendo a conservare la storia e le caratteristiche del paesaggio del proprio territorio. Questo è uno dei concetti della conservazione dinamica dell’identità di un gruppo sociale che fa del Soave uno degli 86 siti riconosciuti a livello mondiale come patrimonio agricolo particolare.
Il tessuto sociale della denominazione del Soave è dunque storicamente legato all’agricoltura, e alla viticoltura in particolare. E se qui oggi la cultura del vino rappresenta da un lato una sicura fonte di reddito e di lavoro per tante famiglie, dall’altro è diventata fonte di cultura anche in ambito degustativo.
Le bellezze paesaggistiche, il patrimonio storico-artistico e la tradizione vitinicola di questa zona possiedono un enorme potenziale di attrazione per i visitatori di tutto il mondo e per lo sviluppo del turismo enogastronomico. Anche eventi locali come la Festa dell’Uva di Soave contribuiscono a promuovere il territorio. Tuttavia, per sfruttare al meglio e mantenere questo potenziale, è sempre meglio puntare su una pianificazione turistica sostenibile, che rispetti l’ambiente e coinvolga attivamente la comunità locale.
Passato e presente.
Il Soave, pur scontando ancor oggi alcune sfavorevoli scelte del passato, resta un asset strategico per la Regione Veneto. Di certo vive una forte ambivalenza fra produzioni di grandi volumi fondate su vecchi modelli e quelle invece di piccoli e competenti produttori che puntano alla qualità in un territorio, di per sé già singolare per precise caratteristiche e che in futuro potrebbero diventare molto più interessanti per i mercati internazionali.
La volontà di cooperazione e il desiderio di un mutamento migliorativo, prima nelle strategie e poi nella comunicazione, rappresentano fattori determinanti in un settore come quello del vino che sta vivendo una contrazione dei consumi. E’ proprio ciò che è stato puntualizzato dal MW Andrea Lonardi nel suo intervento al talk organizzato a Verona presso il Circolo Ufficiali dal Consorzio del vino Soave e Strade del Vino di Soave in occasione dell’evento “Appuntamento Soave”: Lonardi ha posto il focus sulla necessità di doversi adeguare ad una nuova percezione intervenuta nel mercato del vino, quella cioè di iniziare ad essere considerato più un bene culturale e di carattere “edonistico” che una commodity.
Grande opportunità dunque per il Soave, in un mercato tra l’altro sempre più rivolto al consumo dei vini bianchi. Vediamone alcuni.
Nell’attuale contesto di cambiamento climatico il vitigno Garganega, varietà simbolo del vino Soave, si distingue per una grande capacità di resistenza dovuta alla sua rusticità (anche se a detta di più di un produttore necessiti comunque di irrigazione e non “goda” poi così tanto nell’attuale clima…), al suo moderato potenziale alcolico e alla forma di allevamento utilizzata – la pergola veronese -, oltre ad altre qualità intrinseche come un notevole potenziale qualitativo e una bella longevità. In effetti la pergola si sta rivelando utile soprattutto ora, e non solo qui, in una situazione diffusa di minaccia di scottature delle uve e di inattesi stress idrici per le piante.
I differenti suoli di questa denominazione conferiscono al vino un’estrema sapidità oggi molto apprezzata dal consumatore medio. Nello specifico i terreni calcarei della zona ovest danno origine a vini più delicati, floreali e freschi, mentre quelli vulcanici – ad est della linea che da Soave sale verso la cima del monte Bastia, con dei basalti colonnari strepitosi – producono sentori più intensi e complessi per vini dalla maggiore, e spesso eccellente, longevità.
Cosa dunque emerge di positivo? Sicuramente l’integrità del paesaggio ed il contributo umano di certi produttori virtuosi, nonché la necessità di un rinnovamento avvertito anche dalla realtà delle cooperative e dal Consorzio stesso che si sta prodigando in un’attività di dialogo (e controllo) a vantaggio di tutti gli attori della denominazione.
Il perimetro selettivo.
E gli aspetti invece suscettibili di correzione? Attualmente sono individuabili nei prezzi, ancora mediamente troppo bassi; in una distribuzione legata principalmente alla GDO; in un territorio qualitativamente e stilisticamente troppo variegato. Aggiungo i volumi di produzione decisamente superiori alla domanda di mercato e una mancata riconoscibilità del prodotto nel senso di una condivisione stilistica che conduca ad un’immagine univoca del vino Soave. Perché in futuro il mercato sarà molto diverso.
E’ comprensibile che il concetto di immagine uguale per tutti non sia spesso ben accolto da molti produttori, che rivendicano la libertà di poter esprimere un proprio stile ed operare anche particolari scelte individuali, ma allo stato sembrerebbe apparire prioritario adottare strategie esclusive in grado di conservare ed esaltare l’identità del prodotto Soave e del suo territorio.
Un territorio, situato nella provincia di Verona tra i comuni di Soave e Monteforte d’Alpone, che costituisce uno dei più antichi distretti vinicoli italiani per la produzione di vini bianchi.
Il Soave DOC e Soave DOCG, prodotti principalmente da uve Garganega, sono il fiore all’occhiello del territorio e rappresentano circa il 50% della produzione di vini bianchi veronesi.
Si distinguono tre sottozone:
- la zona classica, conosciuta come la “zona storica”, interamente collinare, con una superficie di circa 1.700 ettari. Interessa solo parte dei colli di due comuni: Monteforte d’Alpone e Soave. L’uva prodotta e vinificata in questa zona può fregiarsi della specificazione “Classico”;
- la zona allargata dei Colli Scaligeri, che occupa una superficie di circa 2400 ettari;
- la zona allargata del Soave doc, con una superficie di circa 6600 ettari.
Un intenso lavoro di ricerca e studio, condotto dal Consorzio del Soave, ha inoltre identificato 33 luoghi ben circoscritti con caratteristiche proprie. E’ il concetto di U. G. A. (Unità Geografica Aggiuntiva): non esiste infatti un solo vino Soave, ma varie sue espressioni, ognuna legata alla natura e alle caratteristiche ambientali del proprio territorio che può così venir valorizzato e comunicato in modo più specifico, seppur sempre semplice e diretto, adatto al consumatore finale spesso ancor oggi poco esperto.
Negli ultimi anni, la denominazione Soave si è distinta per una crescente attenzione verso la sostenibilità e molte cantine hanno implementato pratiche di viticoltura biologica o biodinamica al fine di preservare la biodiversità del territorio.
Il “Progetto Identità Soave: paesaggio, freschezza, longevità” non è altro che un insieme di direttive e buone pratiche adottate, tra cui la riduzione delle rese per ettaro con un aumento del 30% delle verifiche da parte dell’organismo di certificazione Siquria: Soave è infatti tra le prime DOC italiane per numero di controlli in vigneto. Ciononostante ci si augura che aumenti il senso di responsabilità dei produttori verso il consumatore, puntando sull’alta qualità già, e soprattutto, dagli entry level, i vini base delle aziende che sono di solito acquistati dalla fascia più giovane di utenza, quella sì da attrarre ma sicuramente con una minor capacità di spesa.
Guardando al futuro.
Il territorio della denominazione del vino Soave troverà quindi certamente una nuova via per fronteggiare le sfide legate al cambiamento climatico, alla sostenibilità e alla competitività internazionale, sempre attraverso un approccio integrato che sappia coniugare le esigenze del settore vinicolo con lo sviluppo sociale ed economico del territorio.
Al bando poi i conflitti tra chi opera lo sviluppo e chi opera il controllo: il dialogo tra le aziende vinicole e le istituzioni locali sarà cruciale per definire politiche di sviluppo territoriale che non facciano sentire avulsi gli abitanti della comunità. E come in altre zone vitivinicole, la presenza della nuova generazione resta essenziale per affrontare ogni sfida futura.
Dove c’è il buono c’è anche il bello.
Un viaggio nel territorio del Soave è un’esperienza che va oltre una degustazione di vino. Parlo di paesaggi e non solo di vigneti, ma anche di oliveti e frutteti, specie di ciliegie. È un’immersione nella bellezza, ma anche nella storia, nella cultura e nelle tradizioni. Dai vigneti alle cantine, dai borghi medievali ai percorsi enoturistici, il Soave continua ad offrire l’opportunità di scoprire un angolo d’Italia ancora autentico e affascinante, capace di regalare momenti di quiete e piacere a chiunque scelga di esplorarlo.
Perché dove c’è il buono c’è anche il bello, ma specialmente il valore del rispetto.