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Il Mondial des Vins Extremes cresce ogni anno in numeri e visibilità.

Si tratta di un concorso che valorizza ed esalta autentiche isole della biodiversità viticola, oltre a salvaguardare paesaggi unici. Si, perché i vigneti eroici si trovano spesso in zone a forte valenza turistica, tramutando così anche un paesaggio vitato in un indiretto sostegno al turismo e al suo indotto economico, senza poi dimenticare l’azione di manutenzione del territorio stesso operata dai viticoltori ed il conseguente mancato abbandono di certe zone “difficili”.

Il CERVIM (Centro di Ricerca, Studi, Salvaguardia, Coordinamento e Valorizzazione per la Viticoltura di Montagna, in Forte Pendenza e delle Piccole Isole) ideò per queste terre il termine eroico, che venne poi registrato a livello europeo come marchio collettivo di appartenenza, ed un concorso come unica selezione enologica esclusivamente dedicata alla Viticoltura Eroica, autorizzato dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, in collaborazione con la Regione Autonoma Valle d’Aosta e la locale sezione AIS, e sotto il  patrocinio della OIV (Organizzazione internazionale della vigna e del vino) e di VINOFED. La società svizzera VINEA oggi collabora in merito alla parte informatica.

Ma cosa prevede il regolamento del marchio CERVIM?

Il centro di ricerca, nato nel 1987 col nome di Concorso internazionale Vini di Montagna, stabilì che i vini ammessi devono provenire da uve di vigneti con almeno una delle seguenti difficoltà strutturali permanenti: 

  • altitudine superiore ai 500 metri s.l.m., ad esclusione dei sistemi viticoli in altopiano;
  • pendenze del terreno superiore al 30%;
  • sistemi viticoli su terrazze o gradoni;
  • viticolture delle piccole isole.

E qui in Italia possiamo pensare a molti luoghi con queste caratteristiche: dalla Costiera amalfitana alla Val di Cembra, dalla Valtellina alla Val d’Isarco e alla stessa Val d’Aosta, ma anche a quasi tutte le nostre isole minori, come Pantelleria, Ischia, Capri, Ponza. E Ustica.

Ustica è speciale. Ne racconterò il motivo narrando tratti della mia esperienza su quella piccola terra, ostica ma affascinante. Conosco la Sicilia da sempre, l’ho percorsa e vissuta tutta, isole minori comprese. E Ustica esiste lontana da tutti, un po’ come Lampedusa seppur diversa nelle sue origini geologiche: isola vulcanica su cui si respira l’aria delle terre di confine, baluardo ultimo di un’umanità in grado di vivere con nobile resilienza il proprio quotidiano.

L’isola è percorribile in auto lungo un’unica strada ad anello di 12 km. e poi a piedi attraverso sentieri battuti, costieri ed interni. Da brava isola vulcanica, mostra chiaramente i margini della sua caldera e i segni della fertilità dei suoi suoli, anche se le attuali zone verdi (pini di Aleppo) sono frutto di un rimboschimento operato solo qualche decennio fa in luogo degli originari lecci ma non solo, tanto che fino alla metà del 700 quest’isola appariva come una foresta sempreverde. L’azione dei “carbonari” che venivano a fare legna, quella causata dalla produzione della soda per il sapone, estratta da una pianta locale, la Spinella, e infine lo sfruttamento intensivo del suolo per le produzioni agricole hanno restituito un’isola ricca di bassa macchia mediterranea ma povera di alberi.

Solo ai nostri giorni, nel 1986, è stata dichiarata prima Area marina protetta d’Italia  (insieme a quella di Miramare a Trieste), a cui nel 1997 si è aggiunta la Riserva naturale Isola di Ustica per la protezione e la tutela della parte terrestre. L’area marina è da tempo nota per essere considerata il paradiso dei fotografi subacquei che arrivano qui da ogni dove per i suoi fondali a dir poco spettacolari.

Sul lato nord dell’isola si trova un villaggio Neolitico, dove sono stati operati diversi scavi senza però riuscire ancora a renderlo fruibile a causa di una situazione di dissesto finanziario che l’amministrazione comunale patisce da tempo.

Fare trekking su questa isola ti rimette in pace col mondo intero. Non ci sono cime montuose ma solo tre alture: Monte Costa del Fallo, Monte della Falconiera e Monte Guardia dei Turchi, che con i suoi 240 mt. è la più alta dell’isola.

Durante i percorsi a picco sulla costa, il vento ti accompagna sempre e ti rammenta che qui comunque è la natura ad essere vincente, mentre i pensieri volano alti insieme ai tanti uccelli migratori che si possono incrociare in certi periodi dell’anno.

Una storia

Ripromettendomi di tornare nel periodo della raccolta del suo prodotto più prezioso, le minuscole lenticchie, ho dedicato il mio soggiorno principalmente alla visita dell’unica azienda vitivinicola dell’isola. Hibiscus è in mano alla famiglia Longo da tre generazioni. Qui in passato le viti erano tutte allevate ad alberello, ma negli anni ‘70 Nicola Longo iniziò a sostituire in parte l’originaria modalità di allevamento ad alberello con il guyot e a modernizzare tutta la cantina. Dal 2010 è la figlia Margherita Longo con il compagno Vito Barbera, entrambi agronomi, a gestire l’azienda.

La incontro in un tardo pomeriggio di settembre, proprio quando il sole inizia a calare, i colori si fanno saturi e i profumi di finocchio marino, cappero e lentisco più intensi. Fin dall’ingresso comprendi subito la scelta del nome aziendale: dovunque grandi piante di hibiscus, in piena fioritura, offrono i loro calici di color rosso intenso. Margherita sta terminando una degustazione con clienti amici ed io ne approfitto volentieri per fare un giro in vigna. Mai avrei immaginato una natura così esplosiva, un festival di biodiversità e di convivenza fra viti, orto, piante da frutto e fichi d’India. Fichi d’India giganteschi, monumentali tanto da creare, per un tratto, un vero e proprio “tunnel dell’amore” che giunge quasi a picco sul mare. I colori del tramonto fanno il resto.

Margherita è affabile, diretta ma nel contempo ponderata: di origini bresciane per parte di madre, è però nata qui in Sicilia, rivelandosi una donna attiva nella promozione dell’isola, e non solo dal punto di vista agricolo.  “Negli anni ’80, quando fu creata la cantina con i serbatoi in acciaio, il vino sull’isola si commercializzava molto a seguito di un flusso turistico sviluppatosi proprio in quegli anni e Hibiscus era l’unica azienda vitivinicola dell’isola, anche imbottigliatrice”.

Dopo gli studi agronomici e aver lavorato nel Trapanese dove i genitori di Vito avevano uliveti e vigneti ma solo come conferitori, la coppia torna sull’isola e muta diverse altre cose in cantina e in vigna, creando anche una linea di vendita vera e propria, seppur minima, che mantiene ancor oggi. In particolar modo Vito è attivo in vigna e in cantina, mentre Margherita si dedica maggiormente alla commercializzazione dei prodotti e alla parte amministrativo/burocratica.

Ormai vivono sempre sull’isola, ma lo scorso anno il loro figlio maggiore ha dovuto trasferirsi a Palermo per studiare perché “qui non ci sono insegnanti delle scuole superiori; non vogliono venire a causa delle poche ore di lavoro offerte loro a fronte del grande disagio che devono affrontare nelle trasferte giornaliere da Palermo e dintorni”.

Anche quest’anno l’azienda è stata premiata dal Mondial des Vins Extremes per il suo IGT Terre Siciliane Zibibbo Passito ZHABIB 2023, le cui prime sperimentazioni furono iniziate dal padre Nicola sulla fine degli anni ’90 insieme all’enologo Gianni Giardina. Margherita racconta che in seguito alcune marze le ricevette da Salvatore Murana, altro superbo produttore di tali nettari in Pantelleria.

Ottenuto tramite la tecnica dell’appassimento sui graticci, questo passito è un vino, a differenza di quello di Pantelleria, sempre di annata. La vendemmia avviene in tempi leggermente precoci in modo da riuscire a mantenere in giusto equilibrio zuccheri e acidità: pur possedendo un residuo medio di 190 gr./litro, questo passito è contraddistinto da una estrema  freschezza e da un’aromaticità composta ed elegante, con decise note di limone e lemongrass. Certo si parla di produzioni esigue che si aggirano tra le 1000 e le 1800 bottiglie (mentre per lo zibibbo secco si raggiungono le 5000).

Nel complesso oggi i vigneti di Hibiscus sono situati a Contrada Tramontana lato mare e lato monte, e a Contrada Spalmatore, sopra Cala Sidoti, oltre un nuovo impianto che è invece situato in Contrada Oliastrello, sul lato sud dell’isola. Quelli di Zibibbo sono allevati a cordone speronato, dall’ingresso dell’azienda fino alla costa a strapiombo, e poi a Contrada Spalmatore. L’azienda produce però anche Grillo, Insolia e Catarratto: non posso fare a meno di rimanere affascinata dalle loro etichette, fresche, colorate e dai raffinati disegni naif.

Resilienza

La vita sull’isola non è però affatto semplice: le scelte tecniche sono ormai dettate dalla presenza di colombi selvatici (colombacci) che arrecano gravi danni al raccolto poiché mangiano l’uva, tant’è che a Contrada Spalmatore sono costretti a coprire le viti con le reti, con un notevole aggravio economico per il loro acquisto, manutenzione e pulizia.

La realtà è che dopo l’epidemia Covid si sono manifestati notevoli squilibri ecologici un po’ dappertutto: qui, data la forte incidenza dei danni occorsi agli agricoltori e non esistendo predatori naturali adeguati a contrastare l’aumento di questa popolazione avicola, il Comune sta cercando di predisporre un piano di abbattimento anche tramite il supporto di un’azienda allevatrice di rapaci. Ulteriori danni sono poi spesso causati dalle piogge tardive in grado di far marcire il superficiale apparato radicale delle piante di lenticchie, tanto che l’azienda, che di solito ne produce fra i 20 e 30 quintali all’anno, lo scorso anno ne ha prodotti solo 8. Per tutto questo lo scorso anno Margherita ha stimato i cali di resa totali intorno al 15-20%.

Come se ciò non bastasse, in vigna si accaniscono usualmente anche i conigli, tanto che ha dovuto estirpare un intero vigneto a Contrada Spalmatore: i simpatici roditori non mangiano tanto l’uva quanto la corteccia e la vite stessa. Si può tranquillamente dire che qui molto più può la fauna della peronospora…!

Appare dunque chiaro come in tali territori l’eroicità sia cosa quotidiana, specie in un’isoletta dal nome che non dimentica certi scempi subiti in passato (Ustica, dal latino ustum, bruciato). E perché il premio Donna Cervim 2024 – che viene assegnato a quell’azienda di proprietà femminile il cui vino ha ottenuto il miglior punteggio – Margherita se lo sia meritato alla grande.

Margherita Longo, Az. Hibiscus