Vi racconto una storia. Quella della dea Cura.
Secondo gli antichi Romani, l’uomo fu creato con il fango dalla dea Cura, che poi chiese a Giove di donargli un’anima. In seguito si dovette però stabilire a chi l’uomo appartenesse e la dea Cura disse: “E’ mio perché l’ho fatto io!”, ma la Terra disse “No, l’hai fatto con il fango e questo mi appartiene!”. Pure Giove ne rivendicò la proprietà. Il compromesso finale fu questo: dopo la morte, il corpo dell’Uomo sarebbe tornato alla Terra mentre l’anima sarebbe andata a Dio (per loro Giove), ma finché fosse stato in vita l’Uomo sarebbe appartenuto alla dea Cura.
Altra storia. Nella Divina Commedia sono sempre le donne che salvano gli uomini: quando Dante si smarrisce nella “selva oscura” è una catena di donne che si organizza per salvarlo: S. Lucia va da Beatrice affinché, tramite Virgilio, Dante venga aiutato e poi condotto da Beatrice fino al Paradiso.
Tutto è avvenuto (e ancor oggi avviene) grazie alla donna.
Fin dall’antichità, la donna dona la vita in diversi modi: concepisce e dà alla luce i figli, li nutre, si prende dunque cura delle persone. La cura è una forma di potere e questo Dante, già nel 1300, l’aveva ben compreso.
La sua idea della donna che salva il genere umano è cosa molto moderna, ma oggi le donne hanno un ruolo speciale e diverso nella comunità globale.
Essere donna non è una sfortuna, come a volte sembra essere, ma un’opportunità e una quotidiana intensa testimonianza di valori morali e di libertà.
Rispetto al passato, oggi le donne imprenditrici non rappresentano più un’eccezione e la loro sempre più crescente presenza nel sistema economico è una realtà sociale significativa e ormai indispensabile.
Il cambiamento climatico ha spostato l’attenzione sulla necessità della cura dell’ambiente che ci circonda, particolarmente avvertita nelle zone montane, territori che oggi hanno necessità di essere accuditi nel quotidiano per cercare di scongiurare disastri ambientali. In ambito agricolo, i produttori in genere sono, e dovrebbero sempre essere, i custodi del territorio intesi anche come manutentori di questo e non solo delle varietà vegetali che esso ospita. Se tutto ciò è vero, le produttrici possono esserlo ancor di più per un peculiare spiccato senso dell’accoglimento e una maggiore attenzione ai dettagli. Ad esempio, nel settore enoico, il genere femminile rivela di possedere nel DNA la capacità di saper far convivere l’attività di produzione vitivinicola e l’offerta turistica della bellezza di certi luoghi e territori, ricchi di valori storici e naturali, nonché delle materie prime e dei cibi locali, dimostrandosi così anche “custode di eredità del passato”. Spesso i loro vini posseggono la loro stessa anima proprio per una connessione profonda che riescono a stabilire naturalmente con la terra.
La sostenibilità, di cui oggi si discute ovunque, non è solo ambientale ma anche e specialmente sociale: ecco perchè il ruolo delle donne in genere, e dell’Associazione delle Donne del Vino in particolare, diventa propulsore di iniziative volte alla diffusione e alla condivisione di obiettivi centrati sulla tutela, sulla valorizzazione e sullo sviluppo del nostro patrimonio imprenditoriale e culturale.
Mi fa piacere quindi raccontare l’ultimo degli incontri dell’Associazione Donne del Vino del Lazio tenutosi lo scorso ottobre a Roma, introdotto dalla nostra Presidente nazionale, Daniela Mastroberardino, ed egregiamente organizzato dalla Delegata regionale Manuela Zennaro. Non è inoltre mancata la presenza istituzionale dell’Assessora all’Agricoltura e Ambiente del Comune di Roma, Sabrina Alfonsi, intervenuta per un gradito saluto.
Con l’occasione rammento i principali obiettivi dell’Associazione che mira all’accrescimento della cultura del vino e al suo consumo responsabile; alla promozione del ruolo delle Donne del Vino nella società e nel lavoro; al collegamento delle stesse Donne del Vino fra di loro e con le istituzioni/organizzazioni del vino italiane ed estere, nonché alla condivisione di iniziative varie, di formazione e di viaggi di istruzione.
Nell’ambito del progetto RiveLAZIOni – progetto di scoperta del territorio laziale destinato ai giornalisti stranieri di settore – sono state previste due masterclass dedicate ai vini laziali, guidate dal collega Alessandro Brizi con la gentile collaborazione della wine communicator Chiara Giannotti per l’opera di traduzione a favore dei giornalisti stranieri presenti.
Il territorio laziale, spesso bistrattato dal punto di vista enologico, possiede il suo punto di forza nei suoli vulcanici, con diverse e ben distinte aree, come la Tuscia-Monti Vulsini-Lago di Vico fino ad Orvieto e al Lago di Bracciano; i crateri dei Castelli Romani e dei Pratoni del Vivaro; il Parco della via Appia Antica, a sud-est di Roma fino a circa 12 km dal litorale; Velletri e Cori fino a Cisterna di Latina ed infine la zona del Cesanese.
Il vulcano è un modello che da sempre accompagna l’uomo, modello certamente pericoloso ma molto ricco, basti pensare alla produzione di materiali edili, alla presenza di acque termali, ai suoi suoli particolarmente fertili.
E’ per questo che ancor oggi si continua a vivere in prossimità dei vulcani (Vesuvio, Etna,…). Le motivazioni risultano essere di tipo antropologico, legate cioè a precisi stili di vita; produttivo, per i suoi risvolti economici, e se vogliamo anche maieutico a causa di una sorta di presa di coscienza dell’unicità dei prodotti originati in queste zone, che diventa firma e marchio degli stessi.
I vini vulcanici hanno nel Lazio, a parità di vitigno, profili più acidi, sapidi e verticali. Le piante dispongono di maggiori quantità di elementi minerali e tale ricchezza del terreno rende inutile una delle leggi agronomiche di base, la cosiddetta legge del minimo di Liebig secondo cui la crescita di una pianta non è tanto determinata dal volume totale delle risorse disponibili, quanto dall’aumento della disponibilità di quella più carente. Ogni terreno ha infatti un elemento marginale ma non è il caso di quello vulcanico, e tale vantaggiosa condizione si traspone poi negli elementi primari delle uve ritrovandola nei suoi precursori aromatici a seguito dell’affinamento del vino, come p.es. il sentore di idrocarburi, quello del Riesling per intenderci.
Non ho intenzione qui di esporre i vini degustati uno ad uno con classiche note da sommelier che, a mio avviso, poco possono trasmettere al lettore in assenza di una contestuale degustazione, quanto piuttosto di sottolineare ancora una volta la specificità dei luoghi da dove questi vini provengono ed il fatto che si tratti comunque di vini di alta qualità tecnica, di spiccata personalità e quasi tutti con una caratteristica fondamentale e peculiare di questa regione: la salinità. Soggiungo solo che per alcuni di loro si avverte la necessità di un ulteriore periodo di affinamento.