(DDM) In questo inizio d’anno non me ne vogliate ma non parlerò di spumanti, panettoni, vacanze o ambiziosi progetti personali, bensì di qualcosa che coinvolge noi tutti quotidianamente e che ormai dovrebbe rappresentare ciò a cui guardare sempre prima di operare le nostre scelte nello svolgimento delle nostre attività.
“I grandi eventi della storia hanno fatto irruzione nelle microstorie delle vite individuali: il 61% degli italiani teme lo scoppio di un terzo conflitto mondiale, il 59% il ricorso alla bomba atomica, il 58% che l’Italia entri in guerra. Con l’ingresso in una nuova età dei rischi, emerge una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità, non più liquidabili come «populiste». Quella del 2022 non è una Italia sull’orlo di una crisi di nervi, ma piuttosto in cerca di una profilassi per l’immunizzazione dai pericoli correnti. Ma i meccanismi proiettivi, che spingevano le persone a fare sacrifici per essere migliori, adesso risultano inceppati e la società indulge alla malinconia”.
Questo è quanto ci racconta il Rapporto del Censis di fine 2022. Ci troviamo in un contesto profondamente mutato per quanto riguarda la crisi pandemica, ma messo nuovamente a dura prova da un evento drammatico come la guerra in Ucraina. Una guerra che, con tutte le sue conseguenze economiche e sociali, rischia di indebolire il recupero economico dell’Italia e di accentuare al suo interno le disuguaglianze, già elevate. I molti cambiamenti in atto nei comportamenti e nelle scelte collettive ci dicono tuttavia che un aspetto cruciale per riuscire a trasformare il superamento delle crisi in una vera e propria occasione di rilancio e di ricostruzione passa proprio attraverso la riduzione delle disuguaglianze. L’alto livello di eterogeneità che si è sviluppato nel Paese su vari fronti impone di inserire tra le nostre priorità interventi rivolti alle imprese rimaste indietro in questi ultimi due anni per garantire la crescita dell’intero sistema produttivo, oltre ad interventi rivolti alle persone più vulnerabili attraverso adeguate politiche per lo sviluppo dell’occupazione giovanile, femminile e nel Mezzogiorno. Perchè se non cresce l’occupazione, in particolare quella femminile, aumenta ancor più la povertà e si condanna il Paese ad un’ulteriore perdita del potenziale di produttività e di crescita.
Se non si fanno i conti con il problema dell’assistenza agli anziani e ai disabili si rischia un peggioramento grave delle loro condizioni e qualità di vita: siamo ormai ben consapevoli che la rete familiare non riuscirà più, come una volta, a garantire un “volume” di aiuto pari a quello del passato perché aumenteranno le persone bisognose di questo e perché saranno sempre meno le donne in grado di farsene carico con la stessa forza e capacità.
Se non si affrontano le disuguaglianze salariali e delle tipologie di contratto del mercato del lavoro, si continua a far crescere la povertà anche tra gli occupati e ad assistere alla fuga dei nostri figli, costretti ad immaginare un futuro altrove con più giuste opportunità. Fondamentale utilizzare nuovi sistemi di misurazione che tengano conto delle specificità dei differenti soggetti sociali e delle forme del disagio che stanno emergendo.
E poi la madre di tutte le questioni attuali: imboccare seriamente la strada della transizione ecologica per far fronte alla crisi climatica del pianeta.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha di certo lanciato grandi sfide come la transizione digitale, il grande investimento in infrastrutture, la sfida della riforma e della modernizzazione della PA e il nostro Paese in fondo ha dimostrato e sta dimostrando di essere unito nei confronti dell’impatto sociale ed economico della crisi post-pandemia. Ma per quanto ancora?
Ovviamente è necessario conoscere per poter governare i grandi cambiamenti sul fronte dell’economia, della società, della popolazione e dell’ambiente.
Parte dei miei interessi professionali mi trattengono necessariamente sul tema della transizione ecologica.
L’Unione europea pone, da diversi anni, le politiche ambientali al centro di una strategia di sviluppo basata sulla sostenibilità e sull‘uso efficiente delle risorse, e con il Green Deal europeo è stato previsto un ulteriore rafforzamento di tale strategia e l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra entro il 2050. In risposta alla crisi derivata dalla pandemia Covid, la transizione ecologica è divenuta ormai uno dei tre assi strategici (al quale sono destinate il 40% delle risorse complessive) del programma europeo Next Generation EU e del PNRR che ne dà attuazione. Temi centrali dell’agenda politica italiana sono quindi, e necessariamente, il contrasto al dissesto idrogeologico, la tutela delle acque, la messa in sicurezza delle infrastrutture idriche, la ricostruzione dei territori e il sostegno delle popolazioni colpite dagli eventi sismici, in particolare quelli avvenuti in Italia centrale a partire dal 24 agosto 2016.
La sostenibilità ambientale è divenuto elemento portante dell’attività economica agricola globale. E tra i 9 obiettivi della PAC (Politica Agricola Comune) figurano quelli relativi alle azioni per contrastare i cambiamenti climatici e salvaguardare il paesaggio e la biodiversità, prevedendo tra i requisiti obbligatori: la tutela dei suoli ricchi di carbonio tramite la protezione delle zone umide e delle torbiere; la gestione dei nutrienti per migliorare la qualità dell’acqua e ridurre i livelli di ammoniaca e di protossido di azoto; la rotazione delle colture invece della loro diversificazione.
D’altro canto i recenti incrementi dei prezzi delle derrate alimentari e la riduzione delle scorte rendono sempre più urgente l’individuazione di una strategia per contenere gli impatti negativi su tutta la filiera agroalimentare, considerando anche le proiezioni di crescita della popolazione mondiale.
Una risposta a tali esigenze sembrerebbe provenire dall’agricoltura di precisione, ossia quell’insieme di tecnologie e di strumenti applicati ai processi produttivi in agricoltura al fine di migliorarne la produzione, minimizzare i danni ambientali ed elevare gli standard qualitativi dei prodotti agricoli: in pratica la “precisione” introdotta da tali tecnologie consente di effettuare una distribuzione mirata dei principali fattori di produzione (acqua, fertilizzanti, fitofarmaci) solo dove serve e nella quantità corrispondente al reale fabbisogno della coltivazione in atto. E’ pur vero che il concetto di Agricoltura di Precisione esiste sin dagli inizi della moderna agricoltura, con la divisione della terra in parcelle (campi) al fine di gestire le colture in relazione alle condizioni del terreno, valutando quindi, di volta in volta, gli effetti positivi dei fattori produttivi in funzione delle varietà in campo, con l’obiettivo di incrementarne la produttività.
L’attuale crescente interesse per le tecniche dell’Agricoltura di Precisione si spiega ponendolo in relazione al crescente aumento della popolazione mondiale (stimato dalla FAO in oltre 9 miliardi di persone entro il 2050) e quindi alla necessità di incrementare la resa e la produttività dell’agricoltura a livello mondiale.
La materia è presente nel PNRR all’interno della missione M2C1 “Economia circolare e agricoltura sostenibile” ed è stata disciplinata dal legislatore italiano nelle ultime leggi di bilancio e in alcune riforme di settore. Inoltre il decreto ministeriale del 22 dicembre 2017 in materia di “Linee guida per lo sviluppo della Agricoltura di precisione in Italia” è stato il primo documento di analisi volto a verificare lo stato di diffusione del processo innovativo nell’agricoltura italiana e le potenzialità delle tecnologie offerte, analizzando le criticità del sistema.
E’ evidente come la valorizzazione della figura contadina diventi così cruciale per sostenere l’esercizio delle agricolture in grado di contrastare lo spopolamento delle zone marginali di pianura e periurbane, delle aree montane e collinari e la conseguente drastica riduzione del numero delle aziende agricole forestali e pastorali-zootecniche.
Il ruolo dei “custodi contadini“, – già previsto dalla legge n. 194 del 2015 –, risulta fondamentale in quanto soggetti attivi nel contrasto alla crisi climatica attraverso la manutenzione dei paesaggi, la silvicoltura, la tutela della biodiversità e una migliore gestione del territorio, oltre alla conservazione, nell’ambito della stessa azienda agricola, delle risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario locali soggette a rischio di estinzione o di erosione genetica.
E la finanza ? Alla fine è quella che detiene il ruolo più importante nella creazione di un mondo sostenibile.
Il settore finanziario trasferisce da sempre risorse finanziarie da soggetti che generano risparmio a soggetti che necessitano di investire o spendere per l’attività corrente in misura superiore alle proprie disponibilità ( imprese e Pubblica Amministrazione): decidere come investire i capitali costituisce un aspetto fondamentale per lo sviluppo economico di un Paese e sono proprio i vari operatori finanziari che possono partecipare attivamente nel posizionamento di capitali verso il finanziamento di investimenti di impatto positivo per la società nel medio e lungo termine.
I risparmiatori possono dunque scegliere di investire in imprese che generano, oltre al rendimento economico, anche un impatto ambientale e/o sociale positivo: parlo di imprese attente all’utilizzo responsabile delle risorse naturali e agli effetti sugli ecosistemi, imprese che mantengono adeguate condizioni di sicurezza, salute, parità e inclusione tra i lavoratori o imprese che operano rispettando principi etici e, al contrario, di non investire in imprese che non rispettino convenzioni internazionali sui diritti dei lavoratori o che operino in settori non conformi a trattati internazionali, come ad esempio quello della produzione di armi biologiche e chimiche.
E’ la “finanza sostenibile”, quella finanza che tiene in considerazione fattori di tipo ambientale (Environmental), sociale (Social) e di governo societario (Governance) – i cosiddetti fattori ESG . La finanza sostenibile è dunque null’altro che l’applicazione del concetto di sviluppo sostenibile all’attività finanziaria, di cui non si parla ancora abbastanza a livello divulgativo.