Giulia è giovane, espansiva, giustamente ambiziosa e piacevolmente accogliente. La luce che brilla nei suoi occhi trasmette l’entusiasmo che anima il suo parlare e le scelte operate, a volte anche in azzardo, come lei stessa racconta.
Argillae è la sua azienda, che solo con lei, dal 2014, ha iniziato ad avere una banca dei propri vini e lei ci tiene molto a farlo sapere. Fino ad allora i suoi genitori si erano occupati della distilleria e della vendita dello sfuso, con una produzione di ventimila bottiglie e 60 ettari vitati in quel di Anagni, dove lei è nata 36 anni fa. Altri tempi, altra concezione del prodotto vino.
Oggi Argillae è 10 ettari vitati in Umbria, ad Allerona vicino Terni – di cui 5 sono nuovi impianti – che quest’anno hanno prodotto 87.000 bottiglie. Ricordando che il territorio della denominazione Orvieto si estende dalla città di Orvieto arroccata sulla rupe di tufo (che in passato ospitava al suo interno giare di vino in affinamento) fino alle sponde del lago di Corbara, l’azienda si trova nella sua punta nord, a circa 380 mt di altitudine: è la zona dei calanchi dove i suoli sono quasi completamente argillosi, a differenza del resto del territorio della denominazione decisamente più eterogeneo, e Giulia Di Cosimo ha voluto farne quasi un cavallo di battaglia inserendo questa caratteristica proprio nel nome della cantina.
L’argilla comporta però problemi in vigna per chi ha pendenze importanti (p.es. i trattori rimangono spesso impantanati). E, chiacchierando, Giulia lo racconta così: “L’argilla ha due volti: uno buono che dona struttura e mineralità al vino, mentre l’altro è causa di problemi operativi nella gestione della vigna. A me ha fatto però venire l’idea di utilizzarla altrimenti, cioè per costruire le nostre anfore di affinamento. Si tratta della prima volta in cui un produttore affina il proprio vino in contenitori nati dallo stesso suolo su cui viene allevato”.
Il progetto Anfore nasce con lei nel 2016: “All’inizio pensavo fosse un facile progetto dal momento che l’Umbria è nota per la produzione di terracotta e la presenza di fornaci, ma non è stato proprio così… L’argilla dei suoli della mia azienda è un argilla pliocenica, cioè ricca di fossili e di frammenti di carbonato di calcio, detti cocciniglie, responsabili della frattura della terracotta durante la cottura. Bisogna anche aggiungere che la cottura della terracotta per le anfore è un’artigianalità assai diversa da quella dei rivestimenti murari e delle tegole. In pratica i produttori tecnici di anfore in Italia sono pochissimi e personalmente mi hanno risposto solo in cinque. Dopo un’indagine di mercato, da brava bocconiana, (n.d.R.: è laureata in Economia e Management), ho optato per una fornace di Impruneta e, all’insaputa del mio enologo(!), ho acquistato 3 anfore”.

Il progetto Anfore è in seguito decollato previo un carotaggio del terreno che ha fornito maggiori informazioni empiriche sulla costituzione fisico-chimica dell’argilla dei suoli aziendali, sempre con il proponimento di renderla protagonista attraverso la costruzione dei vasi di affinamento. Ma lo stile dell’enologo aziendale Lorenzo Landi è tendenzialmente riduttivo, con un uso frequente del batonnage e la tendenza a portare le fecce fini fino all’imbottigliamento estivo. Perché allora la scelta dell’uso dell’anfora? “Sinceramente all’inizio sono partita con la sola volontà di estremizzare il concetto di suolo. Poi ho notato che lavorare in micro-ossigenazione offriva una spalla più ampia al vino, ideale per giungere bene al momento del consumo che per il vino del progetto Anfore è previsto tre anni dopo la vendemmia, quando arriva sul mercato” spiega Giulia.
Ci soffermiamo poi a parlare della Doc Orvieto, territorio di grandi numeri e di imbottigliatori dove però i pochi giovani produttori – sono in 5 – nutrono l’interesse a riscattarsi da quella, ancora resistente, idea di vino anni Settanta tipica di questa zona e a rilanciare la denominazione in termini nuovi.
“Credo fermamente che il dibattito sulla questione debba poter esistere all’interno del Consorzio senza essere costretti a fuoriuscirne, sebbene sia comprensibile una certa frustrazione da parte di certi produttori” continua la Di Cosimo. “Forse è proprio questo il principale attuale problema del Consorzio dell’Orvieto Doc: l’assenza delle nuove generazioni. Io mi ci sono ritrovata come unica donna consigliere under 40 e l’esperienza, seppur bellissima e utile, è stata faticosa: oggi ne sono il Vicepresidente. Si tratta di un consorzio piccolo perché, al netto del numero degli imbottigliatori, che ogni anno assistono tra l’altro ad un lieve calo dell’imbottigliato sui grandi volumi , i soci produttori sono solo 30 con una produzione totale di circa 10 mln di bottiglie“.
L’Orvieto Doc è un vino che ha tuttora problemi di identità, tra l’altro mal percepita perché, oltre ad avere un disciplinare abbastanza confuso che non si intende ancora modificare, i suoi stessi produttori non riescono a raccontarlo come meriterebbe. “Un esempio: a parità di invecchiamento, oggi tutti qui producono Orvieto Doc Superiore per questioni di gradazione e perché più economicamente conveniente per il produttore, mentre non c’è quasi più produzione delle altre tipologie in disciplinare. Sarebbe meglio prevedere anche vini di pronta beva riservando il termine Superiore ad un vino con un affinamento di almeno 12 mesi” afferma la Vicepresidente.
La promozione. Il Consorzio Orvieto Doc non ha ancora avviato collaborazioni con istituti universitari, ma per ora, con il supporto dell’AIS, è in tour per l’Italia con una interessante masterclass di confronto delle quattro macroaree (suoli) presenti sul suo territorio. Io nel frattempo ho avuto occasione di degustare alcuni vini di Argillae :

*CentoperCento, uno spumante brut metodo charmat da uve Grechetto, Drupeggio, Verdello e Malvasia, morbido e di grande freschezza, perfetto come aperitivo in accompagnamento a crudi di pesce e salumi non piccanti – € 18
*Orvieto Superiore Doc, un blend di Grechetto 40%, Procanico 20%, Malvasia 10%, Chardonnay 15% e Sauvignon 15%, dai sentori agrumati e di fiori gialli, fresco e persistente – € 16
*Grechetto IGT, affinato in acciaio dopo una breve macerazione a freddo. E’ ottenuto da vinificazioni separate di uve Grechetto di Todi (Pignoletto) e Grechetto di Orvieto, che è il Grechetto comunemente inteso e decisamente più aromatico. Si presenta agrumato, ampio, fresco e delicatamente sapido con un finale di mandorla, tipico di questo vitigno. – € 16
**Panata, Orvieto Classico Superiore Doc, da Grechetto 50%, Procanico 20% e Chardonnay 30% , vinificato in acciaio con un 15 % in legno e affinato per due anni. Al naso profumi floreali ed esotici, di frutto giallo e mandorla. Il sorso è sapido e lungo. Piccola curiosità: il suo nome deriva dalla caraffa che veniva usata per mescere il vino nelle osterie orvietane. – € 22

***Primo d’Anfora, Umbria IGT 2020. Usualmente è un uvaggio di Grechetto 40%, Malvasia 20% e Drupeggio 20% proveniente dalla Vigna Vecchia di oltre 45 anni, ma questa annata 2020 è tutta Grechetto. Si tratta di un bianco importante, contenente un 3% di vendemmia tardiva, che affina 8 mesi in anfora di terracotta creata con l’argilla proveniente dai suoli aziendali, frutto di quel forte desiderio della proprietà di creare un vino che rappresentasse un cerchio vitale che partisse dalla terra e ad essa ritornasse. Dinamico e seducente, rivela sentori complessi di sambuco e zafferano fino al miele rosato, al candito e alla pietra focaia in un sorso molto più che semplicemente agrumato e ammandorlato, pieno, sapido, molto persistente ed intrigante. – € 40